Salento

Gli anni 2000: quando il Salento cambiò la propria rotta


A metà anni ‘90, il Salento non somigliava neppure a quello che in molti oggi hanno imparato a conoscere. C’era già, però, il germe del cambiamento, incubato in una dimensione nuova, in cui le tendenze alla globalizzazione scatenarono, in maniera univoca e svincolata un po’ in tutto il mondo, una reazione opposta, volta a tutelare le diversità e le specificità territoriali, a salvaguardare le culture e il folclore dei posti, a proteggere, riscoprire e tramandare quel patrimonio di valori che è anima e scheletro di un popolo.

Non pensate ai b&b, agli hotel o alle case vacanze nel Salento di adesso, una ventina di anni fa il Tacco d’Italia era ben lontano da quella fama e quello splendore turistico che ha raggiunto oggi: non vi era una reale e autentica consapevolezza di appartenenza che non fosse riconducibile al mero campanilismo; le specificità locali erano ancora ridotte al rango di elementi di paese, con eccezioni eccellenti come l’artigianato o il barocco. E non pensate alla pizzica pizzica odierna, che incendia l’estate salentina e si lascia scoprire nelle scuole di ballo di tutto il globo né alle eccellenze della ristorazione locale, almeno non nelle vesti che oggi indossa.

Gli ingredienti c’erano tutti, ciò che mancava era una reale unione di intenti, una coscienza condivisa, una tensione verso la stessa direzione, il desiderio di fuoriuscita dal provincialismo. Ma, come detto, il germe era già in circolo e iniziava già ad alimentare quei tratti che oggi fanno del Salento un brand turistico tra i più apprezzati del Belpaese.

Una rinascita. Non si può definire in altro modo il processo di riscoperta delle eccellenze del posto che ha accompagnato la pensiola salentina a partire dalla metà degli anni ‘90. Rinascita complessiva e multi-canale che si è articolata nelle accademie, nelle università e nei circoli culturali; allo stesso tempo, si è nutrita delle commistioni, delle contaminazioni e dei dialoghi più impossibili, come quelli delle dance hall in cui si celebrava l’incontro tra la danza tipica e le sonorità del reggae; e poi la riscoperta del dialetto ma anche della produzioni agricola, non più dieta povera per un popolo povero ma eccellenza ed esempio di dieta sana, che verte sulla genuinità e sul gusto ammaliante di produzioni come quelle di olio, vino o dei prodotti da forno e della pasticceria.

Erano gli anni in cui il Salento capiva di valere e investiva in infrastrutture per il turismo balneare, ma con un’imprenditoria acerba e approssimativa che negli anni si è strutturata sempre più convintamente ed è cresciuta insieme alla domanda, agli eventi, alle iniziative, alla consapevolezza manifestata dalle amministrazioni locali. E scivoliamo così fino agli anni nostri, in cui il Salento è meta di riferimento dell’estate italiana, rivoluzionata nella sua forma ma intatta nella sua incantevole sostanza antica.